Come è noto la erogazione dell’assegno all’ex coniuge presuppone che quest’ultimo non abbia i mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive (criteri attributivi). La misura dell’assegno è commisurata alla capacità economica dell’obbligato e al contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi anche in termini di crescita professionale, alla menage familiare e alla formazione del patrimonio di entrambi nonché alla condizione di maggiore precarietà del coniuge economicamente più debole (criteri determinativi). La funzione dunque dell’assegno rispondeva a criteri assistenziali, compensativi e risarcitori questi ultimi dovuti anche alle ragioni della decisione e tali criteri non potevano essere disattesi incidendo solo sul quantum del dovuto rimesso all’apprezzamento del giudice. Detti criteri sono stati tuttavia nel tempo sottoposti a serrata critica, in quanto a seguito dei mutamenti sociali e di costume, ritenuti ormai anacronistici. Si affermò dunque una giurisprudenza che individuava nel deterioramento, dipendente dal divorzio, delle precedenti condizioni economiche, il presupposto per il riconoscimento dell’assegno che garantiva in tal modo un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. Si affermò pertanto la natura esclusivamente assistenziale, in quanto il presupposto per la concessione si rinveniva nell’inadeguatezza di mezzi adeguati a garantire un analogo mantenimento di condizioni godute durante il matrimonio. Nel 2017 il quadro giurisprudenziale di legittimità e di merito è mutato giacchè ai fini della erogazione dell’assegno è prevalso il criterio della indipendenza ed autosufficienza su quello del tenore di vita. Anche in tal caso il cambio di rotta è scaturito dal mutamenti economico-sociali intervenuti e dalla concezione che il vincolo matrimoniale non potesse piu’ ritenersi uno status o una rendita di posizione e dunque assumere un connotato patrimoniale. Sono stati pertanto introdotti altri criteri di valutazione e comparativi (possesso di redditi, di cespiti immobiliari, la disponibilità di una casa di abitazione, le capacità e possibilità effettive di lavoro – in relazione all’età alla salute, alle potenzialità recettive del mercato etc.. Una volta accertato il diritto all’assegno, è a tali indici, contenuti nell’ art. 5 c. 6 della l. n. 898 del 1970 (L. sul divorzio) dunque che il giudice quindi deve rapportarsi, nella determinazione in concreto della misura dell’assegno. Certamente in tale contesto assume rilevanza centrale ai fini dell’indagine da compiere, il contributo (rectius sacrificio condiviso) del coniuge che ha inciso positivamente sulla crescita professionale dell’altro, sulla gestione familiare e sulla formazione del patrimonio comune. Il criterio dunque dell’autosufficienza economica e o dell’impossibilità di procurarsi i mezzi non rappresenta l’unico parametro di riferimento. Naturalmente detti indici comparativi non valgono però dopo la separazione atteso la persistenza del vincolo di coniugio e la circostanza per cui l’assegno di mantenimento resta legato al tenore di vita che la coppia aveva durante il matrimonio. Sul punto tuttavia si sono registrate pronunce di merito discordanti che la Cassazione ha tuttavia composto. Muovendo dunque dal quadro sopra tracciato ed in particolare dalla natura compensativa dell’assegno i giudici nazionali si sono poi interrogati sulla questione se il contributo divorzile debba venir meno per il caso in cui l’ex coniuge instauri una convivenza more uxorio. Da tale interrogativo ne è scaturita l’ordinanza interlocutoria della Cassazione n. 28995 del 2020 che ha rimesso la questione alle SSUU, ritenendo sulla base della funzione compensativa del’assegno, non sussistere alcun automatismo tra l’instaurata successiva convivenza e l’esonero dall’obbligo dell’assegno. Non resta che attendere la decisione del massimo Organo monofilattico.